E’ trascorso in sordina l’anniversario della tragedia di Chernobyl che il 26 aprile 1986 provocò il più grave disastro nucleare della nostra storia, provocando da lì agli anni a venire oltre mezzo milione di morti.
Evidentemente di questi tempi, non è conveniente riportare alla mente quegli eventi che hanno dimostrato al mondo che il nucleare non può garantire in alcun modo la sicurezza né nostra, né delle future generazioni, come dimostrato anche dallo stillicidio di incidenti più o meno gravi a cui abbiamo assistito dal l’86 ad oggi in impianti, anche di ultima generazione, in Giappone, Spagna, Gran Bretagna, Francia, fino ad arrivare ai più recenti Krsko (SLO) e Tricastin (F). Incidenti non sempre tempestivamente resi noti, anzi, a volte sono trascorsi mesi prima che ne filtrasse notizia.
Notizie evidentemente imbarazzanti di questa epoca di ritorno al nucleare, una scelta costosa, antiquata, pericolosa, dai tempi lunghi, dannosa per l’ambiente e con tantissimi problemi tuttora irrisolti.
Il rientro nel tunnel del nucleare voluto dal governo, è una scelta sbagliata che oltre a non risolvere i problemi di approvvigionamento d’energia, ci allontana da soluzioni più moderne e durature.
Il “patto atomico” Sarkozy-Berlusconi prevede la costruzione di 4 centrali, che dovrebbero entrare in funzione verso il 2020. A queste, si aggiungeranno almeno altri 4-6 impianti, per arrivare a coprire il fabbisogno nazionale per il 25%. 10 nuove centrali nucleari, con un investimento tra i 30 e i 50 miliardi di euro: un affare lucroso per i potenti gruppi energetici nazionali e internazionali, ma pessimo per il popolo italiano, che si troverà tra le mani una tecnologia costosa, obsoleta e pericolosa e sconveniente sul piano che negli ultimi decenni è stata accantonata in tutto il mondo occidentale proprio perché non conveniente.
Lo conferma l’esperienza degli Stati Uniti, dove il mercato dell’energia è liberalizzato, e dove dal 1984 non si costruiscono più nuove centrali (anche il tentativo di Bush, di rilanciarle con incentivi pubblici, è fallito). E’ costosa la tecnologia, la costruzione delle centrale, l’approvvigionamento dell’uranio (il cui costo è aumentato nei soli ultimi 4 anni del 1.300 %, e tende ad aumentare ulteriormente). Ed estremamente costosa è la fase di smantellamento, il decommissioning, un costo che i fans del nucleare non prendono mai in considerazione, ma che sarà scaricato sulle future generazioni: nel Regno Unito, la Nuclear Decomissioning Authority, incaricata di gestire lo smantellamento delle centrali britanniche più antiquate, ha stimato, nel 2008, in 83 miliardi di sterline (circa 104 miliardi di euro) il costo probabile dell’operazione. E in Italia, la Sogin, incaricata di smantellare il sistema nucleare italiano attivo prima del referendum del 1987, ha già speso, tra il 2000 ed il 2006, ben 676 milioni di euro, ottenendo un misero 6% di avanzamento lavori (8% a fine 2007).
Miliardi di euro spesi, per altro, per un investimento antiquato. La tecnologia proposta, dei reattori EPR di cosiddetta III generazione (detti anche evolutivi, in quanto rappresentano una semplice evoluzione di quelli di seconda generazione, cui apparteneva l’impianto di Chernobyl), ha i tempi contati. Allo studio sono oggi gli impianti di IV Generazione, da cui ci si attende non solo maggiore efficienza e sicurezza, ma anche la possibilità di recuperare le stesse scorie. Le centrali promesse da Sarkozy entrerebbero in funzione tra almeno 10 anni, per risultare, subito dopo, già antiquate. Anche il premio Nobel Rubbia consiglia di aspettare, per non investire su una tecnologia che appena entrata in funzione sarà già obsoleta.
Irrisolto, per altro, è ancora il problema del deposito delle scorie nucleari, con l’impossibilità di trovare un sito che assicuri un tranquillo stoccaggio attraverso i secoli, al riparo da sconvolgimenti naturali (terremoti, alluvioni …) o umani (guerre, terrorismo). Ad oggi, nessun paese al mondo ha ancora realizzato un suo deposito definitivo. E in Italia, dopo la figuraccia di Scanzano Jonico, il governo avrebbe fatto bene a pensarci meglio, prima di ripiombare nel tunnel atomico che è ambientalmente sconveniente anche perché allontana dalla fonti rinnovabili e dal risparmio energetico.
Quella nucleare è una via molto costosa, che richiede l’impegno di grandi risorse finanziarie che danno un minimo contributo a favore dell’ambiente: secondo un calcolo di Greenpeace, anche raddoppiando entro il 2030 i 439 reattori oggi in funzione nel mondo (e con una spesa tra i 1.000 ed i 2.000 miliardi), si otterrebbe un abbattimento del 5% scarso delle emissioni di Co2. In linea con tale stima, anche il Rapporto Energia e Ambiente 2007 dell’ENEA, che prevede (scenario al 2020) un contributo delle centrali atomiche alla riduzione nella produzione di emissioni di CO2 del 6% (e del 10% nel 2040), mentre il solo miglioramento dell’efficienza energetica negli usi finali consentirebbe già nel 2020 una riduzione del 45% delle emissioni e un risparmio in bolletta di 5 miliardi di euro l’anno.
Ben più utile, all’ambiente, ai cittadini ma anche all’economia e all’occupazione, sarebbe dirottare gli investimenti previsti per il nucleare a favore delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, assicurarando occupazione diffusa e competitività per le nostre aziende nazionali. Il nucleare, invece, costituisce un affare per pochi e fornisce bassissima occupazione.
Per tutti questi motivi ribadiamo il nostro deciso NO al ritorno al nucleare in Italia, anche in considerazione della scellerata ipotesi di localizzazione di un impianto in Molise.
Chiediamo pertanto, che la Regione Molise, dichiari la sua indisponibilità ad accogliere sul territorio impianti nucleari che esporrebbero i molisani in primis ai rischi di fuoriuscite e contaminazioni radioattive, compromettendo irrimediabilmente ogni possibilità di sviluppo per turismo e agricoltura di qualità, settori su cui la Regione ha finora invece puntato.
Sul piano della produzione energetica, già oggi il Molise contribuisce più che attivamente, e con i suoi numerosi impianti (spesso già gravemente impattanti, come la centrale turbogas di Termoli) produce energia oltre il proprio fabbisogno, contribuendo a soddisfare le necessità delle altre regioni.
Bisogna non cadere nel ricatto delle misure di compensazione e di barattare con un’elemosina economica la qualità della vita dei molisani delle attuali e future generazioni e la possibilità di un autentico sviluppo.
Chiediamo di seguire l’esempio di altre regioni che hanno scelto la strada della denuclearizzazione del loro territorio. La vicina Puglia, ad esempio. O la Sardegna del neo presidente Cappellacci, per citare due governatori di opposto colore che hanno ben chiara la necessità che la qualità della vita e la valorizzazione del territorio delle regioni da loro amministrate sarebbero irrimediabilmente compromesse dalla costruzione di impianti nucleari.
Fare Verde ONLUS - Gruppo locale di Campobasso - Tel. 329.4343334
www.fareverdecampobasso.blogspot.it
http://www.fareverde.it/
Evidentemente di questi tempi, non è conveniente riportare alla mente quegli eventi che hanno dimostrato al mondo che il nucleare non può garantire in alcun modo la sicurezza né nostra, né delle future generazioni, come dimostrato anche dallo stillicidio di incidenti più o meno gravi a cui abbiamo assistito dal l’86 ad oggi in impianti, anche di ultima generazione, in Giappone, Spagna, Gran Bretagna, Francia, fino ad arrivare ai più recenti Krsko (SLO) e Tricastin (F). Incidenti non sempre tempestivamente resi noti, anzi, a volte sono trascorsi mesi prima che ne filtrasse notizia.
Notizie evidentemente imbarazzanti di questa epoca di ritorno al nucleare, una scelta costosa, antiquata, pericolosa, dai tempi lunghi, dannosa per l’ambiente e con tantissimi problemi tuttora irrisolti.
Il rientro nel tunnel del nucleare voluto dal governo, è una scelta sbagliata che oltre a non risolvere i problemi di approvvigionamento d’energia, ci allontana da soluzioni più moderne e durature.
Il “patto atomico” Sarkozy-Berlusconi prevede la costruzione di 4 centrali, che dovrebbero entrare in funzione verso il 2020. A queste, si aggiungeranno almeno altri 4-6 impianti, per arrivare a coprire il fabbisogno nazionale per il 25%. 10 nuove centrali nucleari, con un investimento tra i 30 e i 50 miliardi di euro: un affare lucroso per i potenti gruppi energetici nazionali e internazionali, ma pessimo per il popolo italiano, che si troverà tra le mani una tecnologia costosa, obsoleta e pericolosa e sconveniente sul piano che negli ultimi decenni è stata accantonata in tutto il mondo occidentale proprio perché non conveniente.
Lo conferma l’esperienza degli Stati Uniti, dove il mercato dell’energia è liberalizzato, e dove dal 1984 non si costruiscono più nuove centrali (anche il tentativo di Bush, di rilanciarle con incentivi pubblici, è fallito). E’ costosa la tecnologia, la costruzione delle centrale, l’approvvigionamento dell’uranio (il cui costo è aumentato nei soli ultimi 4 anni del 1.300 %, e tende ad aumentare ulteriormente). Ed estremamente costosa è la fase di smantellamento, il decommissioning, un costo che i fans del nucleare non prendono mai in considerazione, ma che sarà scaricato sulle future generazioni: nel Regno Unito, la Nuclear Decomissioning Authority, incaricata di gestire lo smantellamento delle centrali britanniche più antiquate, ha stimato, nel 2008, in 83 miliardi di sterline (circa 104 miliardi di euro) il costo probabile dell’operazione. E in Italia, la Sogin, incaricata di smantellare il sistema nucleare italiano attivo prima del referendum del 1987, ha già speso, tra il 2000 ed il 2006, ben 676 milioni di euro, ottenendo un misero 6% di avanzamento lavori (8% a fine 2007).
Miliardi di euro spesi, per altro, per un investimento antiquato. La tecnologia proposta, dei reattori EPR di cosiddetta III generazione (detti anche evolutivi, in quanto rappresentano una semplice evoluzione di quelli di seconda generazione, cui apparteneva l’impianto di Chernobyl), ha i tempi contati. Allo studio sono oggi gli impianti di IV Generazione, da cui ci si attende non solo maggiore efficienza e sicurezza, ma anche la possibilità di recuperare le stesse scorie. Le centrali promesse da Sarkozy entrerebbero in funzione tra almeno 10 anni, per risultare, subito dopo, già antiquate. Anche il premio Nobel Rubbia consiglia di aspettare, per non investire su una tecnologia che appena entrata in funzione sarà già obsoleta.
Irrisolto, per altro, è ancora il problema del deposito delle scorie nucleari, con l’impossibilità di trovare un sito che assicuri un tranquillo stoccaggio attraverso i secoli, al riparo da sconvolgimenti naturali (terremoti, alluvioni …) o umani (guerre, terrorismo). Ad oggi, nessun paese al mondo ha ancora realizzato un suo deposito definitivo. E in Italia, dopo la figuraccia di Scanzano Jonico, il governo avrebbe fatto bene a pensarci meglio, prima di ripiombare nel tunnel atomico che è ambientalmente sconveniente anche perché allontana dalla fonti rinnovabili e dal risparmio energetico.
Quella nucleare è una via molto costosa, che richiede l’impegno di grandi risorse finanziarie che danno un minimo contributo a favore dell’ambiente: secondo un calcolo di Greenpeace, anche raddoppiando entro il 2030 i 439 reattori oggi in funzione nel mondo (e con una spesa tra i 1.000 ed i 2.000 miliardi), si otterrebbe un abbattimento del 5% scarso delle emissioni di Co2. In linea con tale stima, anche il Rapporto Energia e Ambiente 2007 dell’ENEA, che prevede (scenario al 2020) un contributo delle centrali atomiche alla riduzione nella produzione di emissioni di CO2 del 6% (e del 10% nel 2040), mentre il solo miglioramento dell’efficienza energetica negli usi finali consentirebbe già nel 2020 una riduzione del 45% delle emissioni e un risparmio in bolletta di 5 miliardi di euro l’anno.
Ben più utile, all’ambiente, ai cittadini ma anche all’economia e all’occupazione, sarebbe dirottare gli investimenti previsti per il nucleare a favore delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, assicurarando occupazione diffusa e competitività per le nostre aziende nazionali. Il nucleare, invece, costituisce un affare per pochi e fornisce bassissima occupazione.
Per tutti questi motivi ribadiamo il nostro deciso NO al ritorno al nucleare in Italia, anche in considerazione della scellerata ipotesi di localizzazione di un impianto in Molise.
Chiediamo pertanto, che la Regione Molise, dichiari la sua indisponibilità ad accogliere sul territorio impianti nucleari che esporrebbero i molisani in primis ai rischi di fuoriuscite e contaminazioni radioattive, compromettendo irrimediabilmente ogni possibilità di sviluppo per turismo e agricoltura di qualità, settori su cui la Regione ha finora invece puntato.
Sul piano della produzione energetica, già oggi il Molise contribuisce più che attivamente, e con i suoi numerosi impianti (spesso già gravemente impattanti, come la centrale turbogas di Termoli) produce energia oltre il proprio fabbisogno, contribuendo a soddisfare le necessità delle altre regioni.
Bisogna non cadere nel ricatto delle misure di compensazione e di barattare con un’elemosina economica la qualità della vita dei molisani delle attuali e future generazioni e la possibilità di un autentico sviluppo.
Chiediamo di seguire l’esempio di altre regioni che hanno scelto la strada della denuclearizzazione del loro territorio. La vicina Puglia, ad esempio. O la Sardegna del neo presidente Cappellacci, per citare due governatori di opposto colore che hanno ben chiara la necessità che la qualità della vita e la valorizzazione del territorio delle regioni da loro amministrate sarebbero irrimediabilmente compromesse dalla costruzione di impianti nucleari.
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