Abbiamo camminato in mezzo alla Natura. Intorno a noi solo boschi e prati. Sulla strada abbiamo raccolto more, sambuco, corniolo e... monnezza. Quella non manca mai.
All'ombra delle querce ci siamo fermati a riflettere e immaginare un futuro in cui il denaro non sia al centro di tutto, in cui il nostro benessere non sia misurato con la quantità di merci acquistate, consumate e buttate via. Abbiamo immaginato una comunità capace di collaborare invece di competere, di organizzarsi per costruire cultura e buone pratiche anche se i tagli lineari ci tolgono servizi essenziali ma non toccano gli sprechi. Abbiamo elencato i nostri errori e i nostri successi. Abbiamo preso coscienza di quanto sia difficile decolonizzare il nostro immaginario e cambiare nel profondo. Ci siamo dati forza e coraggio l'uno con l'altro. Ci siamo riscoperti accomunati dallo stesso destino oltre ogni sovrastruttura ideologica.
Ci siamo riconciliati con il mondo contadino. Quello che ha la pazienza di aspettare che i frutti siano maturi, che il formaggio sia ben stagionato e il mosto sia ben fermentato. Quello che non ha fretta e perciò può fare a meno dell'insalata già tagliata, della pasta precotta, del sugo pronto, del pratico dispenser, dell'usa e getta. Quello che può andare a piedi, contemplando il mondo intorno a sè. Perchè non ha l'ansia di arrivare primo, di consumare tutto e subito. Perché sa conservare, curare, custodire.
Per tre giorni abbiamo provato ad uscire dal mercato. Abbiamo acquistato poco, localmente e direttamente da piccolissimi produttori. Abbiamo fatto da soli sapone, dentifricio, verdure sott'olio, marmellate, cavatelli. E mentre le nostre mani allungavano la pasta, la tagliavano e la incavavano, l'organetto accompagnava i gesti di un sapere antico. E le nostre risate. Tante risate.
Senza videogiochi e televisori, i nostri bambini hanno potuto volgere il loro sguardo altrove. Hanno disegnato, giocato, fatto amicizia. A guardarli sembrava che fossero amici da sempre. Il loro stare insieme liberi da ogni pregiudizio e divertendosi con poco o niente è stata una lezione magistrale di comunità e di vita.
Ci siamo accampati senza troppe comodità ma non ci è mancato nulla. L'amicizia, la collaborazione, la solidarietà hanno sopperito ad ogni mancanza.
Una filosofia semplice e accessibile a tutti ha fluito direttamente dalle mani al cervello.
La sera, il vino ha sciolto le ultime timidezze e la chitarra ha accompagnato voci stonate ma allegre. Abbiamo cantato "alberi di trenta piani" e "fabbriche che ci profumano anche l'aria colorandoci il cielo di nero che odora di morte".
In coro, abbiamo cantato che "a Terra è a nosta e nun s'adda tuccà!". Tra le note abbiamo ritrovato poesia, amore e voglia di continuare a lottare. Insieme.
Abbiamo lavorato e oziato, mangiato e bevuto. E abbiamo diviso equamente tra tutti il lavoro di ognugno: saponette e vasetti di vetro sterilizzati e riutilizzati per conservare marmellate e verdure. Chi sapeva fare lo ha insegnato agli altri. Abbiamo trasmesso il sapere insieme alle emozioni.
Ora, se qualcuno deciderà che la crisi dovrà mordere più forte, che bombe umanitarie, intelligenti e democratiche dovranno tornare a volare, che pensioni d'oro per pochi dovranno continuare a pagarle tutti, ci sarà chi è, ancora una volta, pronto a opporsi. Noi, comunità attiva e consapevole, saremo di nuovo pronti a sbarrargli la strada.