28/09/12

LOTTIZZAZIONE S.PIETRO: IL COMUNE FACCIA RISPETTARE LE REGOLE.




Non si arresta il far west del cemento nella nostra città. L’ultima cementificazione in atto è quella del rione S.Pietro, dove si è da poco aperto il cantiere dell’ennesima lottizzazione che cancellerà una delle ultime aree verdi esistenti nel cento di Campobasso.
L’area interessata ai lavori, tra via S.Giovanni ed il Terminal Autobus, fino alla rotatoria di via G.B.Vico, è un’area di pregio ambientale,  ricca di innumerevoli specie arboree ad alto fusto che costituiscono un ricco ecosistema umido boschivo e floristico (come si evince dalla Valutazione Ambientale Strategica del 27 luglio 20120 condotta dalla Geoservizi) che, anziché essere valorizzato e preservato, come auspicato dalla predetta valutazione, sarà spazzato via per far posto all’ennesima spianata  di cemento ed asfalto, anche con ripercussioni sul microclima presente nella zona, tra l’altro a monte di un sito, quello del vallone dello Scarafone, già duramente compromesso dagli indiscriminati interventi edilizi degli ultimi anni.
Le onduline metalliche messe a copertura del cantiere, tra qualche giorno non riusciranno più a nascondere i previsti brutti palazzoni di circa 30 metri che, tra l’altro, difficilmente potranno rispettare i limiti di legge previsti in materia di distanze minime tra gli edifici nelle zone urbane.
Va aggiunto che il progetto iniziale, presentato agli organi competenti per la prevista concessione, (rilasciata lo scorso 27 giugno), prevedeva la realizzazione di un cosiddetto “parco” denominato “Casa Clima”, con spiccati connotati eco sostenibili, dall’aspetto gradevole ed in linea con i moderni standard estetici ed urbanistici, ampi spazi verdi, aree sport e svago, aiuole, giardini pensili, arbusti di pregio e quant’altro, tutto splendidamente ed artisticamente esposto e rappresentato su plastici e variopinte mappe. Ma che mai saranno realizzati.
La costruzione avviata, infatti, che interessa un’area complessiva di ben 35.000 mq., non avrà nulla a che vedere con tutto ciò, ma sarà l’ennesima sfilza  di palazzoni dormitorio, che andranno inevitabilmente ad appesantire il carico urbanistico ed imbruttire il profilo paesaggistico della città, proprio a ridosso della centralissima via Mazzini e dell’intero centro cittadino.
Perché l’ente preposto (Comune) non vigila sulla effettiva rispondenza tra i progetti iniziali e ciò che viene effettivamente costruito?
Va inoltre considerato che circa 25.000 mq., quindi. oltre 2/3 della superficie dell’area in questione, sarà completamente cementificata, amplificando oltremodo il già troppo esteso fenomeno dell’impermeabilizzazione dei suoli ed il consumo del territorio, causa primaria di dissesti idrogeologici e delle gravi conseguenze da essi derivanti. Chi si assumerà le responsabilità di eventuali future calamità?
Infine, a dimostrazione della totale inosservanza delle regole e degli accordi, va anche segnalato che ad oggi non v’è traccia alcuna dei trenta alloggi di edilizia agevolata che, quali oneri di urbanizzazione, dovevano essere costruiti contemporaneamente alla lottizzazione in argomento e ceduti dalla ditta costruttrice al Comune; inadempienza che di fatto calpesta gli interessi pubblici e gli obiettivi alla base della convenzione tra l’Ente ed il privato costruttore. Cosa risponde Palazzo San Giorgio a proposito?
Chiediamo con forza che il Comune di Campobasso e gli organi preposti, vigilino sul rispetto delle leggi e delle regole finora palesemente violate, anche ricorrendo alla sospensione della concessione edilizia in questione, per verificare la correttezza di tutte le procedure e tutelare gli interessi pubblici, l’ambiente cittadino ed i beni comuni contro ogni tentativo di speculazione ai danni della collettività.  

Campobasso, 28 settembre 2012                                                        

FARE VERDE Onlus  - Gruppo di Campobasso

18/09/12

pubblichiamo da www.lteconomy.it

INTERVISTA A MAURIZIO PALLANTE


(Saggista italiano, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice)
A partire dagli anni 2000 in Italia si è sviluppato il Movimento per la Decrescita Felice (MDF) che si incentra sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso, e sulla creazione di una società più sobria, empatica ed economicamente stabile. Il movimento, chiaramente ispirato alla decrescita teorizzata da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della bio-economia, ed in linea con il pensiero di Serge Latouche, parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) si riscontra una diminuzione della qualità della vita. Quali sono i principi che guidano la decrescita? Perché sostenerli? Quanto possono essere funzionali alla risoluzione dei principali problemi che affliggono attualmente le società più ricche (debito pubblico elevato, disoccupazione giovanile, inquinamento ed impronta ecologica elevata)? Maurizio Pallante, fondatore e Presidente dell’associazione per la Decrescita felice (http://decrescitafelice.it/), risponderà alle nostre domande.

 
Settembre 2012

  1. Domanda: Che cos’è la “decrescita felice” e quali sono i principi su cui essa si basa?

    Risposta:
    Per ben definire il concetto di “decrescita felice” occorre prima chiarire il concetto di “crescita”. La crescita economica è misurata in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL) e si assume che una crescita del PIL pro capite genera un aumento del benessere dei cittadini. In realtà non è così! Secondo la definizione, il Prodotto Interno Lordo misura il valore dei “beni” (e servizi) forniti in un Paese; in realtà siccome esso prende in considerazione solo oggetti e servizi che vengono scambiati con denaro, non tutto ciò che rientra nel PIL ha un effettiva utilità (non tutte le “merci” scambiate sono beni), mentre ci sono beni e servizi (quelli auto-prodotti) che, pur non rientrando nel PIL, generano valore. Faccio un esempio: per riscaldare le nostre case, mediamente si consumano20 litri di gasolio al metro quadrato all’anno; in Germania non danno licenza di abitabilità a case che consumano più di7 litri di gasolio al metro quadrato all’anno (circa 1/3 rispetto al consumo medio italiano). Ciò vuol dire che, se per legge si può imporre che un edificio non consumi più di7 litri di gasolio al metro quadrato all’anno, gli edifici che ne consumano 20 sono così mal costruiti che disperdono (tramite infissi, sottotetto, pareti etc…) una quantità di energia pari a tredici litri su 20 al metro quadrato; questi tredici litri in più rappresentano una merce che si vende e si compra e che quindi fa crescere il PIL; in definitiva, una casa mal costruita che spreca energia riesce a far crescere il PIL più di una casa ben costruita che invece riduce il consumo di energia. Se una casa mal costruita venisse ristrutturata in modo tale da ridurre o eliminare del tutto gli sprechi, ciò farebbe decrescere il Prodotto Interno Lordo.
    A questo punto si può introdurre il primo concetto di decrescita: la decrescita è la diminuzione della produzione e del consumo di merci che non sono beni; in parole povere consiste nella riduzione degli sprechi energetici e non energetici. Per ottenere questo risultato occorre sviluppare delle tecnologie più evolute che abbiano l’obiettivo non di aumentare la produttività industriale, ma di ridurre, per ogni unità di prodotto o per ogni servizio fornito, la quantità di energia necessaria a produrlo, la quantità di materie prime che si consumano e la quantità di materiali che vengono portati allo smaltimento nel momento in cui gli oggetti cadono in disuso.
    C’è poi un secondo aspetto della decrescita: c’è una grande quantità di beni che possono essere autoprodotti; i beni autoprodotti, non essendo scambiati in denaro, non fanno crescere il PIL: se una famiglia possiede un orto, la frutta e verdura prodotti in questo orto non fanno crescere il PIL perché non vengono venduti; inoltre, essi fanno diminuire il PIL, perché quella famiglia non va più a comprare la frutta e la verdura al mercato (diminuisce la domanda della merce “frutta e verdura”). In sostanza il secondo aspetto della decrescita è l’aumento della produzione e dell’uso dei beni che non sono destinati ad essere commercializzati. Ogni volta che si introducono beni che non vengono scambiati in denaro si hanno una serie di vantaggi ulteriori: essi non solo sono a km “0”, ma sono beni a cm “0”; fanno diminuire il consumo di fonti fossili (in quanto non c’è esigenza di trasporto) e non hanno imballaggi, quindi si riducono i rifiuti.
  2. Domanda: Quali sono i “vantaggi” generati adottando i principi di decrescita da lei definiti?

    Risposta:
    Ogni qualvolta che si riduce la produzione ed il consumo di merci che non sono beni ed invece si aumenta la produzione e l’uso di beni che non vengono scambiati nel mercato si ha un miglioramento della qualità della vita ed un miglioramento dell’ambiente; una casa che consuma 7 litri di gasolio all’anno per metro quadro riduce di 2/3 l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera; ogni volta che si mangia qualcosa di autoprodotto, ad esempio la verdura di un orto, si mangia un prodotto migliore di quello che viene comprato; per questo accanto alla parola decrescita è stato messo l’aggettivo “felice”, non perché chi fa decrescita è più felice, ma per il semplice fatto che, se la decrescita si realizza attraverso i metodi indicati, si ha un miglioramento ambientale e della qualità della vita .
  3. Domanda: Quando e come sono nati l’idea della decrescita ed il conseguente movimento?

    Risposta: 
    L’idea della decrescita è sostenuta anche da altre associazioni e gruppi diversi dal nostro; il che è un fatto abbastanza normale, in quanto, essendo una forma di pensiero ancora in fase embrionale, è inevitabile che ci siano interpretazioni parzialmente differenti; è qualche cosa di analogo alla biodiversità in campo vegetale. La nostra idea di decrescita nasce da un impegno ambientalista che ho avuto a partire dal 1985 nella fondazione dei Verdi (da dove sono uscito nel 1992-93); all’epoca (ma ancora oggi) la maggior parte degli ambientalisti sosteneva che, per affrontare il problema energetico, bisognava sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili; io, insieme ad altre persone, sostenevo che la prima cosa da fare non era la sostituzione delle fonti, bensì la riduzione degli sprechi; il nostro sistema energetico spreca il 70% dell’energia che utilizza; di fronte a tale sistema che noi possiamo paragonare ad un secchio bucato, il primo problema che si impone non può essere la sostituzione delle fonti, ma la riduzione degli sprechi (ossia la riparazione del secchio).  Solo se si fa questo primo passo, in termini metodologici, ha senso poi procedere col secondo passo che è quello di sviluppare le fonti rinnovabili. Se ci si pone l’obiettivo di ridurre gli sprechi di energia si sta facendo della decrescita perché si sta lavorando per ridurre il consumo di una merce che non è un bene. A partire da questo impegno ambientalista, specificamente concentrato sul discorso dell’energia, ho poi sviluppato il discorso della decrescita come concezione più ampia che non riguarda solo l’aspetto tecnologico, ma anche l’aspetto degli stili di vita.  Attualmente, anche se il nostro movimento non è per statuto direttamente impegnato in politica, ci si sta adoperando al fine di portare dei suggerimenti a chi si trova all’interno delle istituzioni.
  4. Domanda: Dalla sua nascita ad oggi che progressi ha fatto il movimento della decrescita in Italia?

    Risposta:
    Noi abbiamo attualmente una trentina di circoli territoriali in tutta Italia che diventeranno una cinquantina entro la fine dell’anno; in più abbiamo dei gruppi di lavoro tematici (decrescita e salute, decrescita e tecnologia, decrescita e agricoltura, decrescita e uso del suolo). Da Dicembre 2007 (quando è stato fondato il movimento) ad oggi c’è stato un notevole sviluppo sia in termini numerici che in termini di idee; una delle cose più importanti è che nel movimento c’è una vasta presenza di persone al di sotto dei trenta anni ed alcuni circoli sono composti quasi esclusivamente da questa fascia di età. Ciò che ci sta aiutando molto in questo lavoro, oltre alle nostre elaborazioni ed alla nostra coerenza, è anche la crisi, perché la crisi costringe le persone a rimettere in discussione i propri stili di vita ed a porsi dei problemi che altrimenti non si sarebbero posti.


  5. Domanda: Oltre che in Italia ed in Francia, quanto è diffuso nel mondo il movimento della decrescita?

    Risposta: 
    Ci sono movimenti in tutta Europa ed in tutto il mondo; a Settembre, a Venezia ci sarà un incontro di tutti i movimenti della decrescita a livello internazionale; saranno 4-5 giorni di incontro tra gruppi che operano nel diffondere il concetto di decrescita nel mondo; questo è il terzo confronto internazionale (dopo il primo avvenuto a Parigi ed il secondo a Barcellona); in quella sede si analizzerà lo sviluppo a livello europeo e mondiale di questi movimenti che non necessariamente prendono l’appellativo di decrescita; ci sono ad esempio in Sud America movimenti che fanno richiamo al “Buen vivir”, che comunque si basano su delle scelte in cui si fa prevalere lo stare bene, “il ben vivere” piuttosto che produrre tanto; l’analogia sta nel fatto che anche noi, quando parliamo di decrescita felice, pensiamo che la diminuzione della produzione di merci che non sono beni comporti un miglioramento della qualità della vita e quindi un “buen vivir”.
  6. Domanda: In termini politici che effetti ha avuto il movimento della decrescita?

    Risposta:
    A livello politico ci sono delle esperienze soprattutto a livello locale; c’è l’esperienza dei “comuni virtuosi” che è molto vicina a quello che noi facciamo; c’è poi l’esperienza di tutti i movimenti contrari alla cementificazione del suolo che va nella nostra direzione. Ultimamente, inoltre, ci sono i risultati elettorali raggiunti dal Movimento a 5 stelle, che, pur essendo autonomo rispetto al movimento della decrescita felice (anche perché esso si presenta a livello istituzionale, a differenza del movimento per la decrescita felice), porta avanti tematiche in grossa sintonia con i nostri principi; un esempio di tale sintonia sono rappresentate dal fatto che la giunta di Parma (in cui  tale movimento ha vinto le ultime elezioni, NDR) ha richiesto un mio contributo come consulente rispetto alle scelte che deve fare, un contributo che do a titolo gratuito e che ha  portato già a delle proposte in fase di elaborazione concreta.
  7. Domanda: Può chiarire bene la differenza che c’è tra decrescita e recessione?

    Risposta:
    Entrambi i processi comportano una riduzione del PIL; tuttavia, sono concetti differenti; facciamo un esempio: prendiamo due persone che non mangiano abbastanza rispetto a quanto vorrebbero mangiare; una persona che non mangia quanto vorrebbe perché non ha da mangiare ed un’altra persona che invece non mangia quanto vorrebbe perché ha deciso di fare una dieta. Queste due persone solo apparentemente fanno la stessa cosa; in realtà, mentre la prima persona non fa una scelta, ma subisce una condizione che peggiora la sua vita, la seconda persona fa una scelta che migliora la sua vita. La recessione è come la persona che non mangia perché non ha da mangiare; se un sistema economico fondato sulla crescita della produzione di merci non riesce a crescere, significa che non sta raggiungendo la sua finalità e questo comporta tutta una serie di problemi, il più grave dei quali è quello della disoccupazione. Differentemente, la decrescita è paragonabile a chi non mangia quanto vorrebbe perché sta facendo una dieta; quindi la decrescita, come detto, si propone di ridurre le merci che non sono beni, ossia di introdurre degli elementi di valutazione qualitativa in ciò che va prodotto ed in ciò che non va prodotto. Allora, da questo punto di vista, se ad esempio l’obiettivo è quello di ridurre il consumo di fonti fossili attraverso la riduzione degli sprechi energetici nelle case, si crea un’occupazione qualificata, in quanto non è un’occupazione volta a creare nuove case di cui non c’è bisogno, ma è finalizzata alla ristrutturazione delle case esistenti; è un’occupazione utile e che si autofinanzia con i risparmi ottenibili nelle spese per il consumo energetico (risparmi che possono essere utilizzati per pagare le quote di ammortamento degli investimenti necessari a ridurre lo spreco dell’energia nelle case).

     
  8. Domanda: Un sistema economico che si basa sui principi della decrescita è più stabile rispetto a quello che si basa sui principi della crescita?

    Risposta:
    Sicuramente, è più stabile. Un sistema economico basato sulla crescita richiede che tutte le aziende facciano investimenti in tecnologie finalizzate all’aumento della produttività, che ha come riflesso una riduzione del numero di occupati; quindi sostituendo il lavoro umano con macchine sempre più perfezionate e che producono sempre di più, da un lato aumenta l’offerta di merci, mentre, dall’altra, diminuisce la domanda di merci a causa della riduzione del numero degli occupati. Pertanto, un sistema basato sulla crescita è decisamente instabile, mentre un sistema basato sulla decrescita è un percorso che ha due grandi tappe: la prima tappa consiste nel ridurre gli sprechi, quindi far lavorare le persone in maniera utile per sviluppare le tecnologie che aumentano l’efficienza nell’uso delle risorse; nel momento in cui si raggiunge questo risultato, scatta la seconda tappa: l’economia della decrescita punta ad una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro e a consentire alle persone di sviluppare attività creative e relazioni umane anziché essere assorbite per tutta la vita nelle ore migliori della giornata nell’attività di produzione di merce.
  9. Domanda: Nel mondo si sta diffondendo il movimento “Transition Town” che sostiene il nascere ed il diffondersi di società con uno stile di vita più in equilibrio con le risorse del pianeta. Che affinità ci sono tra il movimento della decrescita e Transition Town?

    Risposta:
    Il movimento “Transition Town” sta facendo un lavoro analogo al nostro; mentre la nostra proposta ha una valenza di politica economica industriale, il movimento Transition Town parte dall’analisi della possibilità di fare dei cambiamenti a livello territoriale e locale; tuttavia, c’è una coerenza sia negli assunti che negli obiettivi di fondo.
  10. Domanda: Oggi, in Italia ed in gran parte dei Paesi europei ci sono due gravi problemi: elevato debito pubblico ed elevata disoccupazione giovanile. In che modo la decrescita può favorire il superamento di questi due problemi? In particolare, la sostenibilità di un debito pubblico è legata alla capacità di crescere di un Paese; cosa si dovrebbe fare per ridurre il Debito Pubblico pur in un contesto di decrescita?

    Risposta:
    Noi abbiamo elaborato una proposta di politica economica ed industriale che va in questa direzione, ossia nella riduzione del debito pubblico e nell’aumento dell’occupazione (e quindi anche di quella giovanile). In sostanza sosteniamo che le politiche economiche tradizionali non sono in grado di farci uscire dalla crisi perché il debito pubblico è l’altra faccia della medaglia della crescita economica. Con lo sviluppo tecnologico, la produzione aumenta, ma diminuisce il numero di occupati; il debito diventa necessario per sostenere la domanda; una riduzione del debito comporta un calo della domanda e quindi un aggravamento della crisi; viceversa, per creare occupazione (non necessariamente qualificata) occorre far crescere la domanda e quindi il debito. L’unica strada per uscire dalla corrente crisi è quello di fare degli investimenti per creare un’occupazione utile, senza aumentare il debito pubblico; tali investimenti si autofinanzieranno grazie alla riduzione degli sprechi che essi comporteranno. E’ un circolo virtuoso in cui la riduzione degli sprechi rilascia risorse investibili in attività volte a ridurre ulteriormente gli sprechi creando occupazione qualificata. Si introducono così dei criteri di valutazione qualitativa nel fare umano; l’obiettivo quantitativo della crescita del PIL non è in grado di risolvere la crisi, mentre la scelta che noi facciamo di ridurre le merci che non sono beni (di ridurre gli sprechi) è l’unica maniera di affrontare entrambi i problemi (riduzione del debito ed aumento dell’occupazione).

  11. Domanda: Cosa pensa dell’attuale sistema del lavoro (piramide dei salari, enfasi sulla produttività, maternità bassa per le donne etc….)?

    Risposta:
    La critica principale che noi facciamo all’attuale sistema del lavoro è che questo fa prevalere l’aspetto del produttore di merci sull’aspetto della persona nel suo complesso. L’essere umano non è fatto da individui finalizzati solo alla produzione ed al consumo di merci; è fatto di persone che hanno degli affetti, che hanno delle esigenze di carattere conoscitive, creative e spirituali. Quello che è importante è di non appiattire l’uomo in una dimensione materialistica; la valorizzazione degli esseri umani in tutti i loro aspetti comporta anche il recupero di uguaglianza e giustizia tra le varie categorie sociali e tra i sessi.

  12. Domanda: L’attuale sistema economico basato sulla crescita, come ben descrive nel suo libro “Meno e meglio”, sta generando una progressiva perdita delle relazioni umane, in particolare quella tra genitori e figli. Quali conseguenze psicologiche questo avrà sui nostri figli?

    Risposta:
    In realtà le conseguenze di un progressivo impoverimento delle relazioni umane le stiamo già subendo oggi. Essendo questo un sistema diffusosi a partire dagli anni sessanta, ha già comportato una disgregazione della società; abbiamo delle lacerazioni a livello sociale soprattutto nelle grandi aree urbane. I bambini che vengono (o sono stati) trascurati nei primi anni di vita (soprattutto nei primi tre anni, gli anni dell’imprinting) cadono nel rischio di sviluppare comportamenti violenti ed antisociali (Brazelton B., Greenspan S., 2001, I bisogni irrinunciabili dei bambini). Essi vengono trascurati perché i genitori dedicano la maggior parte del loro tempo al lavoro per l’esigenza (imposta dalla società) di procurarsi il denaro necessario alla crescita dei propri figli; è un’esigenza di benessere che li spinge a dedicare la maggior parte del tempo al lavoro, quando, invece, le esigenze di tutti gli essere umani ed in particolare dei bambini, sono esigenze soprattutto di tipo affettive, che possono essere soddisfatte con la dedizione di tempo, l’attenzione, la solidarietà e la capacità di fare delle esperienze insieme. Tutta questa dimensione di cui sono stati private le giovani generazioni a partire dagli anni sessanta si sono riverberate sulla loro capacità di avere dei rapporti solidali e di empatia con le altre persone, chiudendoli in un ottica di isolamento e di incapacità di concepire dei rapporti personali se non nell’ottica della competizione e della concorrenza. Tutto questo lo stiamo pagando in maniera molto grave ed è destinato ad aggravarsi ulteriormente fin quando non si capirà che gli aspetti relazionali sono più importanti di quelli materiali e che gli esseri umani non possono appiattire tutte le loro esigenze sul denaro e sull’acquisto di merci.

  13. Domanda: Jeremy Rifkin, nel suo libro “La Terza Rivoluzione Industriale”, ipotizza la creazione di una rete elettrica a generazione distribuita alimentata da fonti di energia rinnovabile; crede fattibile una tale infrastruttura e  cosa ostacola la sua realizzazione?

    Risposta:
    Tecnicamente, ad oggi, essa è già fattibile; occorre solo fare delle modifiche alla rete in quanto essa è fatta in funzione del contributo energetico che deriva dalle grandi centrali di produzioni elettriche; quella attuale è una rete ad albero, mentre un sistema energetico a distribuzione diffusa comporta invece lo scambio delle eccedenze di piccoli impianti che può venire solo a scala locale, per cui la rete deve essere cambiata e diventare una rete di reti sul modello di internet. Le difficoltà a realizzare questo progetto sono in realtà legate al fatto che il potere delle grandi multinazionali produttrici di energia verrebbe ridimensionato; tuttavia, trattandosi di aziende che hanno un potere politico molto forte, capace di condizionare i governi, ad oggi risulta molto difficile creare un sistema del genere; in conclusine, la difficoltà non è tecnica ma politica.

  14. Domanda: Secondo il Global Footprint Network, ogni persona nel mondo avrebbe a disposizione 1,8 ettari, mentre ne consuma in media 2,7; la conseguenza e che stiamo sfruttando 1 volta e mezzo il nostro Pianeta (la nostro impatto ecologico, in termini di consumo ed inquinamento, supera quanto la Terra è in grado di assorbire  e rigenerare). Quali sono le azioni principali che l’uomo dovrebbe attuare per ridurre il suo impatto ecologico?

    Risposta:
    Il problema non consiste solo in un “impronta” mediamente superiore a quella ecologicamente possibile, ma la presenza di uno squilibrio tra i vari popoli nel mondo: ci sono alcuni popoli che hanno un impronta molto inferiore ad 1,8 ed altri, invece, la cui impronta ecologica è molto più alta. La decrescita è l’unico modo per ridurre l’impronta ecologica dell’uomo sulla Terra; non esistono altre soluzioni, perché soltanto la decrescita, riducendo la produzione di merci che non sono beni, è in grado di ridurre il consumo di risorse e l’inquinamento ambientale. L’obiettivo dovrebbe essere non solo quello di riportare il rapporto tra gli ettari che si consumano e quelli ecologicamente disponibili ad “1”, ma anche di ridare giustizia nel consumo delle risorse nel Pianeta; visto che sono soprattutto i Paesi più ricchi che dovranno adottare i principi della decrescita e ridurre la propria impronta ecologica riportandola a valori più vicini alle possibilità rigenerative della Terra, con la decrescita si realizzano entrambi gli obiettivi.


  15. Domanda: Secondo lei stiamo ancora in tempo?

    Risposta:
    Questo non lo so! Forse no, anche se la crisi  economica dà delle speranze in più perché rallenta la crisi ambientale e quella energetica.  Ma non è questo il problema! Il problema è che noi dobbiamo fare delle scelte come se fosse possibile ancora salvare la situazione. Se diciamo adesso che la partita è persa, possiamo smettere di agire e la partita sarà effettivamente persa. Se invece ci poniamo l’obiettivo di cambiare la situazione, qualche possibilità ce l’avremo; noi dobbiamo voler credere e ragionare nei termini che sia possibile ridurre l’impronta ecologica ed arrestare il degrado ambientale anche se ha raggiunto dei valori che rendono molto difficile tornare indietro.


  16. Domanda: E i Paesi emergenti?

    Risposta:
    Se i cd BRICS seguono la strada che noi abbiamo percorso, quindi una strada basata sullo spreco e sulla mercificazione, non c’è futuro per l’umanità, visto che, essendo vastamente popolati, in questi Paesi anche incrementi molto piccoli del PIL pro capite, moltiplicati per il numero di abitanti, porterebbero a risultati disastrosi sia dal punto di vista del consumo di risorse che di emissioni inquinanti.


  17. Domanda: Che cos’è un eco-villaggio? In quali Paesi sono più diffusi e quanti ce ne sono in Italia? Può darci qualche esempio?

    Risposta:
    Un eco-villaggio è un tentativo di realizzare un insediamento umano  che abbia impronta ecologica “1”e cioè che sia il più autosufficiente possibile dal punto di vista alimentare ed energetico e che gestisca tutti i cicli, dalla produzione alla commercializzazione ed al trattamento degli oggetti dismessi, in modo da evitare che ci sia un eccesso di consumo rispetto alla capacità di carico del luogo in cui vivono.
    In Italia ci sono eco-villaggi interessanti soprattutto per il fatto che fanno al loro interno delle scelte che possono essere replicate in città o comuni che non sono eco-villaggi. Ad esempio una gestione delle acque reflue fatta attraverso la fitodepurazione (canneti etc..) è qualcosa che può essere applicato anche in un insediamento umano che non abbia le caratteristiche di un eco-villaggio; lo stesso vale anche per l’autosufficienza energetica e così via. Qui in Italia c’è un eco-villaggio a Torre Superiore, in provincia di Ventimiglia, e ce ne sono molti nell’Appennino Tosco-Emiliano.  Essi sono raggruppati in un’associazione che si chiame RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici).


  18. Domanda: Un messaggio ai giovani su come affrontare il futuro.

    Risposta:
    La cosa fondamentale è quella di uscire dalla mentalità consumista e produttivista; se un giovane ha delle capacità professionali, deve riuscire, collaborando con gli altri, ad applicarle per sviluppare le tecnologie adatte a ridurre l’impatto ambientale piuttosto che ad aumentare la produzione. Un altro aspetto importante è quello di saper realizzare delle relazioni umane positive, collaborative e non competitive.


  19. Domanda: Se potesse dare un messaggio all’uomo, che cosa gli direbbe di fare per salvaguardare quanto più a lungo la sua esistenza e quello del nostro Pianeta?

    Risposta:
    Primo, sviluppare delle tecnologie che ci consentono di ridurre gli sprechi; secondo, sviluppare dei rapporti umani basati sulla collaborazione; terzo, dedicare la vita a degli ideali e non soltanto ad aspetti materiali; un grande ecologista, Edward Goldsmith, ricevette una domanda al termine di una conferenza: quali sono i tre consigli che lei darebbe all’umanità? Lui non fu capace di rispondere immediatamente, ma il giorno dopo disse: “tre cose: un orto, una comunità, una fede. L’orto è l’auto-produzione; non mercifichiamo tutto, non facciamo dipendere la nostra vita solo dal comprare quello di cui abbiamo bisogno per vivere, auto-produciamo! 2) una comunità, cioè un gruppo di persone in cui si hanno rapporti collaborativi e non competitivi; 3) una fede: lui era un laico; la fede significa avere degli ideali e non soltanto appiattirsi nella dimensione “produci, consuma, crepa”.